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Omofobia e Transfobia interiorizzata


Secondo la teoria del Sé che guarda allo specchio —looking glass self — di Charles Horton Cooley, un individuo sviluppa la concezione del Sé nell'interazione con gli altr*, interiorizzando e confermando la visione che quest* hanno dell’individuo stesso, imparando quindi a vedere sé stess* dagli occhi degli altr*. Quando la realtà che ci circonda non accetta e supporta il nostro modo di essere, guardarsi con gli occhi degli altri può portarci ad allontanarci dall’amore per noi stess*.


L’omofobia e la transfobia interiorizzate sono quei fenomeni per cui un individuo che fa parte della comunità LGBT+, immerso in un ambiente sociale in cui osserva o sperimenta atteggiamenti e comportamenti di tipo omotransfobico, li internalizza ed applica a sé stess* e ad altr*.


Assistere a comportamenti di tipo omotransfobico può portare alla formazione di schemi interazionali, cioè delle rappresentazioni mentali di “situazioni tipo”, che aiutano la persona a prevedere l’esito di possibili interazioni (“So che se mi comporto così, o se interagisco con questo individuo, potrebbe succedere questo, perché mi è già successo o l’ho visto succedere”), che si attiveranno non soltanto in presenza degli individui che hanno messo in atto il comportamento omotransfobico , ma anche in loro assenza, scoraggiando la persona ad attuare comportamenti che sa che potrebbero portare a conseguenze negative.


L’omofobia e la transfobia interiorizzate possono avere conseguenze molto negative sull’individuo LGBT+: l'associazione della propria identità di genere e/o orientamento sessuale a sentimenti negativi lo porterà a cercare di reprimerli e di negarli, a provare ansia, vergogna e depressione, e avrà severe ripercussioni sulla sua autostima.


Questo può portare all'isolamento dell’individuo dalla comunità, che vede come qualcosa a cui non desidera essere associat*, anche per paura dello stigma sociale che ne conseguirebbe. Evitando ambienti di contatto con altre persone LGBT+, l’individuo percepirà quindi i membri della comunità come un “outgroup” (un “loro” in contrapposizione con un “noi”). Questo avrà degli effetti su come l’individuo si sente riguardo ai membri della comunità: ad esempio, provando ostilità e risentimento verso le persone che non adottano modi di espressione cis-eteronormativi.


Non bisogna tuttavia farsi confondere dal termine: nonostante siano presenti le parole “omofobia e transfobia”, quellae interiorizzate non sono da associare agli atti di violenza psicologica e fisica attuati da persone omotransfobiche, ma è piuttosto l’ennesima situazione in cui una cultura omotransfobica cerca di reprimere gli individui non conformi agli standard cis-eteronormativi.


Per questo è fondamentale l’esistenza di ambienti che permettano a tutt* di associare la sigla LGBT+ a sentimenti positivi, di orgoglio, e non di vergogna o rifiuto. Avere un luogo sicuro e una comunità alla quale appoggiarsi ci fa sentire parte di qualcosa, creando un “noi”, che ci aiuta ad essere noi stess* nel modo più “safe” possibile.

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